La civiltà minoica fiorì sull’isola di Creta all’incirca tra il 2700 e il 1400 avanti Cristo, in piena età del bronzo. Non sappiamo come i minoici chiamassero sé stessi, noi li chiamiamo così per via del re Minosse che, stando all’inquietante leggenda, imprigionò il proprio figlio mostruoso e ingestibile, il Minotauro, nel labirinto più famoso della storia occidentale, il capolavoro architettonico di Dedalo. Il seguito della storia è noto: Teseo si introdusse nel labirinto, sconfisse il Minotauro, e con l’aiuto di Arianna e del suo filo riuscì a ritrovare la strada per l’uscita.
In effetti, il palazzo reale che gli archeologi hanno scoperto a Creta nel 1900 ha una pianta piuttosto complicata. Sulle sue pareti, poi, compare l’emblema dell’ascia bipenne, la labrys. Se ne è dedotto che labyrinthos significhi “palazzo dell’ascia”; l’altro candidato etimologico è la parola micenea dapurito, associata alle caverne cretesi, chiamate più tardi labirinti. Che Creta, dunque, abbia una relazione privilegiata con il labirinto – altrimenti detto dedalo – è evidente. Ma dall’età del bronzo iniziano a diffondersi rappresentazioni grafiche del labirinto che ritroveremo un po’ ovunque: in Val Camonica, in India, in Spagna, sulle sponde del Mediterraneo e su quelle del Mare del Nord, fino all’Arizona; secondo i Tohono O’odham, infatti, il dio I’itoi abita in un labirinto sotto il deserto del Sonora, una grotta che avrebbe dato vita ai primi esseri umani, e che più tardi avrebbe anche inghiottito qualche indesiderato colonizzatore europeo.

Labirinto, armati e figure di paletta, Parco di Naquane R 1, Capo di Ponte, Val Camonica. Foto di Luca Giarelli, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons

Incisione di labirinto unicursale in Val Camonica. Foto di Luca Giarelli

Gli anglofoni hanno due termini per il labirinto, labyrinth e maze, e tendono a usare labyrinth per il labirinto unicursale o univario, quello il cui percorso procede senza bivi dall’entrata al centro: il cammino è tortuoso, certo, ma non ci si può perdere; usano invece maze per il labirinto multicursale, quello fatto anche di bivi e vicoli ciechi, nel quale si rischia di rimanere intrappolati – sì: il labirinto del film Labyrinth è un maze.
Nelle rappresentazioni antiche e medievali, il labirinto è quasi sempre del tipo unicursale, spesso raffigurato con sette volute: l’entrata dà sulla terza e il percorso si sposta appena possibile alla cintura più esterna per poi ripiegare anello dopo anello verso il centro. Dalla protostoria, passando per i greci, poi per i romani – a Pompei ve n’è uno nella casa del Labirinto e un altro inciso sul peristilio della casa di Lucrezio – il labirinto unicursale approda al Medioevo e alla cristianità con il pavimento della Basilica di San Vitale (VI secolo), a Ravenna. Nelle chiese la pavimentazione labirintica offre la possibilità di un pellegrinaggio in loco a chi non possa intraprenderne uno vero. È un significato che si perderà con il tempo: nel 1779 un tale canonico Jacquemart farà rimuovere il labirinto ottagonale di Notre-Dame de Reims, infastidito dal fatto che i ragazzini ci si divertano durante la messa. Nel frattempo, però, il labirinto è passato per il Rinascimento e ha conosciuto una nuova fortuna presso i laici, assumendo valenze estetiche e ludiche esplicite, come nel giardino di Versailles e, soprattutto, diventando per la prima volta multicursale, con bivi e vicoli ciechi.
Già, come è possibile che, a parte un paio di eccezioni, tutti i labirinti precedenti al Rinascimento di cui siamo a conoscenza siano unicursali? Lo è persino quello raffigurato sulle monete cretesi di epoca ellenistica e romana. E questo nonostante il labirinto del Minotauro sia descritto nella letteratura antica come un’inestricabile trappola di biforcazioni e giri a vuoto, tanto che il suo stesso creatore, Dedalo, vi rimase imprigionato assieme al figlio Icaro. Del resto, se calassimo al centro di un labirinto unicursale un esagitato individuo dalla testa di toro, che speranze avremmo di non vederlo uscire nel giro di qualche minuto muggendo mostruosamente e agitando le braccia nerborute? Né Teseo avrebbe avuto bisogno del filo di Arianna per tornare sui suoi passi una volta completata la missione. Dunque il labirinto del Minotauro poteva essere immaginato solo come multicursale, e del perché fino al Rinascimento i labirinti siano stati rappresentati quasi esclusivamente come figure unicursali non esiste ancora una spiegazione; è anche difficile credere che in duemila anni nessuno si sia accorto della contraddizione.

Labirinto classico unicursale, immagine di AnonMoos, pubblico dominio via Wikimedia Commons

Labirinto classico unicursale

La studiosa Penelope Doob ritiene che gli artisti non sentissero il bisogno di rappresentare altro dal labirinto unicursale standardizzato dalla sua stessa ripetizione pittorica, dato che questo recherebbe già in sé, seppure a livello latente, le caratteristiche fondamentali di ogni labirinto: l’idea di complessità, di possibilità (di entrarci o no), di inestricabilità. Agli artisti antichi e medievali queste caratteristiche bastavano. Come nota l’archeologa Silvana Gavaldo, «la scelta va effettuata prima di entrare, a livello interpretativo è la scelta di affrontare la prova». Doob si domanda piuttosto perché gli artisti rinascimentali sentano improvvisamente il bisogno di rappresentare labirinti multicursali. È possibile che la trasformazione del labirinto rifletta un cambiamento nella concezione della vita? Che dall’invito alla temperanza nel seguire il destino o il piano divino, l’accento si sposti, nella modernità, sulla responsabilità personale e sulla possibilità di scegliere (e anche di sbagliare)?

Bibliografia:
Penelope R. Doob, The Idea of the Labyrinth: From Classical Antiquity Through the Middle Ages, Cornell University Press 1990
Silvana Gavaldo, La figura del labirinto in Valcamonica: sintesi e confronti, in “Preistoria Alpina” 46 II, 2012
Paolo Santarcangeli, Il libro dei labirinti. Storia di un mito e di un simbolo, Frassinelli 2005
Immagine di copertina: labirinto tradizionale della tribù Tohono O’odham. Disegno di AnonMoos

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