Per dire “bagnino” i romani dicevano balneator, come l’Istesio con cui se la prende Cicerone nelle Filippiche, «grande furfante, si dice, ma balneator abile a temperare il calore dell’acqua, stando a quanto riportano i pesaresi». Ma che significa temperare il calore dell’acqua? Prima di fare fantarcheologia e immaginare sulla spiaggia di Pesaro giganteschi macchinari per scaldare il mare pieni di iscrizioni in latino, chiariamo: il balneator era il gestore o l’inserviente dei bagni termali.
Ma allora, viene da domandarsi, gli antichi non andavano al mare? Certo, è presumibile che l’essere umano si tuffi da sempre, ma non esisteva una cultura della balneazione come la conosciamo noi: il mare generava per lo più sentimenti di sgomento e inquietudine come si addice a un elemento dal quale si vedevano arrivare soprattutto pirati e altri disastri, e per il quale, biologicamente parlando, non sembriamo proprio fatti apposta. Come scrive la storica Daniela Blei, «la spiaggia [era] il confine simbolico dell’ignoto». Le ferie organizzate sulla spiaggia sono un fenomeno culturale moderno che nasce nel Settecento e, incredibile dictu, in Nord Europa.
In Gran Bretagna, all’epoca della prima rivoluzione industriale, i borghesi e gli aristocratici iniziano a parlare di proprietà curative del mare, sobillati dalla vista di migliaia di lavoratori delle fabbriche che, secondo loro, sono temprati dal lavoro, diversamente dai gracili signori che, poveretti, non godono di questa fortuna. E così i nobili affetti dai più diversi malanni iniziano a frequentare le spiagge.
Il mare diventa anche una terapia per la malinconia, benché un secolo prima dell’inizio della tendenza, nel 1621, il più grande esperto del campo, Robert Burton, avesse consigliato a chi soffriva di spleen di non bazzicare ambienti umidi. Però, siccome Burton suggeriva anche di fare viaggi, i medici dell’epoca successiva variano un po’ la teoria, e ne nasce tutta una letteratura scientifica che si preoccupava di indicare quali siano le condizioni migliori per fare il bagno a seconda della disgrazia da curare.
Nel mentre, ci mettono del loro le suggestioni del Romanticismo e i pittori che ritraggono paesaggi, direttrici che culminano nei lavori di Turner e Friedrich. Ci mette del suo l’onnipresente Kant, la cui la teoria del sublime rivaluta tutto ciò che in natura appare maestoso, soverchiante, tutto ciò che suscita un senso di terrore. Ci mettono del loro Scheele, Priestley e Lavoisier: la scoperta dell’ossigeno e del suo ruolo spinge a guardare sotto un’altra luce le zone dove l’aria sembra più pulita. Finalmente, nell’Ottocento, l’industrializzazione viene in aiuto della gente comune: la rete ferroviaria britannica, ormai ben sviluppata, permette anche ai lavoratori di raggiungere la costa e, secondo Blei, si può dire che nel 1840 la spiaggia è ormai diventata un luogo fatto per gli umani, che però, paradossalmente, viene raggiunto per scappare dalla routine della vita urbana. Una curiosità: le cabine per cambiarsi avevano le ruote per poter essere spinte fin dentro l’acqua e permettere alle signore, meno vestite del solito, di calarsi direttamente in mare.
In Italia il turismo attrezzato nasce a Viareggio nel 1827, primo stabilimento balneare. Poi è la volta di Rimini, nel 1843, seguono Livorno e il Lido di Venezia.
La normalizzazione delle vacanze antropizza il paesaggio marittimo: tra l’Ottocento e il Novecento, alcune città meramente portuali si ampliano fino ad assimilare la costa, creando il classico lungomare, mentre altre sorgono dal nulla proprio in qualità di mete turistiche. Non è un caso se, nell’immaginario delle città costiere, l’art nouveau – detta in Italia stile liberty – è legata al mare: durante i primi decenni del Novecento, lo sviluppo degli stabilimenti e la diffusione dello stile decorativo e architettonico si sovrappongono.
Ma il turismo marittimo di massa, almeno per l’Italia, arriva con il boom degli anni Sessanta. È così che nasce l’immagine dell’esodo e con essa la difficoltà a rilassarsi su una spiaggia inverosimilmente affollata, oggetto di scene comiche e grottesche in diversi film del secolo scorso, scene ormai lontanissime dall’ispirazione di quei romantici e di quei borghesi britannici che tentavano la fuga nella natura.
A proposito di spiaggia attrezzata, sull’Adriatico, e forse anche altrove, a qualcuno sarà capitato di ascoltare una storia che potrebbe essere una realtà o una leggenda popolare, non abbiamo modo di appurarlo; tutto parte da una domanda: perché c’è chi dice cabina e c’è chi dice capanno? Be’, dipenderebbe dalla storia del turismo nella zona di riferimento: si direbbe cabina là dove le infrastrutture si svilupparono prima e i bagnanti ne trovarono di già fatte, messe a disposizione dal bagnino, mentre si direbbe capanno – fece storia quello in stile liberty di Oreste Ruggieri a Pesaro – là dove le spiagge vennero prese d’assalto prima di essere attrezzate; qui, i volenterosi bagnanti, lo spogliatoio se lo costruivano da soli.
Bibliografia
Maria Sirago, La scoperta del mare, Intra Moenia 2013
Daniela Blei, Inventing the beach, in “Smithsonian Magazine”, 23/06/2016
Immagine di copertina: Cancún, México. Foto di Leonardo Rossatti via Pexels
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