Negli anni Novanta, durante il suo dottorato in scienze forestali alla Oregon State University, la biologa canadese Suzanne Simard notò un fenomeno apparentemente inspiegabile legato al disboscamento e al successivo ripopolamento programmato. Il processo tipico di ricostruzione di un bosco dopo il taglio degli alberi prevede che si dissodi il terreno, lo si ripulisca dalla flora del sottobosco e poi vi si piantino alberi nuovi, omogenei per specie, e disposti in modo ordinato e distanziato affinché ognuno abbia accesso garantito a una quantità sufficiente di acqua e luce; in teoria i giovani alberi dovrebbero avere una vita più semplice e prospera in virtù dell’eliminazione quasi totale della concorrenza. Simard notò invece che questi nuovi alberi, rispetto ai loro predecessori spontanei, si dimostravano spesso più vulnerabili alle malattie e alle variazioni climatiche, come accadeva ai giovani abeti delle foreste del Canada occidentale, i quali – particolare che si rivelò fondamentale – reagivano molto male alla rimozione degli alberi circostanti, anche se erano alberi di specie diversa. Sul rapporto tra abeti di Douglas e betulle da carta nei boschi canadesi, Simard ci scrisse la sua tesi di dottorato.
Ciò che la biologa aveva intuito era che, qualsiasi interazione ci fosse tra quegli alberi, stava avvenendo sotto terra. All’epoca era già noto lo scambio di sostanze nutritive che intercorre tra gli alberi e i funghi che aderiscono alle loro radici, e studi di serra avevano dimostrato che attraverso questa associazione simbiotica – chiamata micorriza, da mykes, “fungo”, e rhiza, “radice” – le piante potessero anche connettersi tra loro. Simard portò la teoria fuori dal laboratorio e la perfezionò in natura. Grazie al suo lavoro, si spalancò un mondo.
Oggi sappiamo che, attraverso la rete fungina sotterranea, gli alberi si scambiano carbonio, acqua, ormoni e perfino segnali di allarme: se un afide o un agente patogeno attacca una pianta, questa può avvertire le altre affinché emettano sostanze repellenti o addirittura sostanze che richiamino i predatori dei loro predatori. Secondo Simard, attraverso la rete, le piante danno vita a comportamenti complessi improntati al sostegno reciproco e alle cure parentali: per esempio gli alberi più anziani lasciano depositi nutritivi in eredità ai più giovani, oppure le sostanze scorrono dagli alberi più favoriti dal clima a quelli più svantaggiati – d’estate la betulla di Simard nutriva l’abete in ombra, d’inverno l’abete soccorreva la betulla che perdeva le foglie – e se una pianta si trova in difficoltà emette un segnale di stress al quale i vicini possono rispondere inviando sostanze che incrementino lo sviluppo di enzimi difensivi. La rete fa particolare affidamento su alcuni membri più antichi e più connessi che funzionano come hub reggendo i fili dello spazio circostante: Simard li chiama Alberi Madre. Questo network di micorrize che corre tra le piante ha preso il nome di Wood-Wide Web, dalla copertina del numero di Nature sul quale, nel 1997, vennero pubblicati per la prima volta i risultati delle ricerche di Simard.
I selvicoltori che ripulivano i boschi prima di ripopolarli stavano interpretando il darwinismo come competizione tra singoli, e dunque ritenevano che liberare il terreno significasse rendere la vita più facile ai nuovi inquilini. «Io ero più interessata a come queste piante interagiscono», dice Simard sul New York Times, «i miei colleghi pensavano che questa fosse una cosa da femmine». L’idea che singoli individui debbano necessariamente competere è stata superata, ma il tipo di rapporto possibile tra specie diverse è tutt’ora al centro di discussioni e molteplici interpretazioni.
Almeno su questo punto, la posizione di Stefano Mancuso, insegnante di arboricoltura ed etologia vegetale all’università di Firenze, sembra essere più cauta di quella di Simard. Nel suo Verde brillante, Mancuso ribadisce l’esistenza di una rete di sostegno e comunicazione tra le piante – e parla apertamente di intelligenza vegetale – ma afferma che il mutualismo vegetale distingue tra piante parenti e piante estranee. Dal canto suo il giovanissimo biologo Merlin Sheldrake, nel suo L’ordine nascosto, si è concentrato sull’attività dei funghi sottraendoli al ruolo di meri trasmettitori e mettendone in luce il comportamento non sempre collaborativo, anzi a volte piuttosto egoista. In modo analogo, Toby Kiers, che insegna biologia all’università di Amsterdam, dice di vedere uno sfruttamento reciproco là dove Suzanne Simard vede cooperazione: secondo Kiers lo scambio tra piante e funghi non sarebbe né più né meno che uno scambio commerciale, con i funghi che elargiscono e trattengono sostanze selezionando i collaboratori, e nel 2017 lo studio di tre microbiologhe, Manuela Giovannetti, Alessandra Pepe e Cristiana Sbrana, ha dimostrato che la rete fungina continua a prosperare anche dopo la rimozione della pianta ospite.
Dunque cooperazione o competizione? Quel che è chiaro è che le nostre immagini mentali di bosco e prateria andranno decisamente riviste: la parte più grande, più mobile, più viva e reattiva di quei mondi è quella che non vediamo, quella che cresce e ramifica sotto ai nostri piedi.
Bibliografia:
Suzanne W. Simard (e altri), Net transfer of carbon between ectomycorrhizal tree species in the field, in “Nature” vol. 388, 1997
Stefano Mancuso – Alessandro Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, Giunti 2015
Merlin Sheldrake, L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi, Marsilio 2020
Manuela Giovannetti – Alessandra Pepe – Cristiana Sbrana, Lifespan and functionality of mycorrhizal fungal mycelium are uncoupled from host plant lifespan, in “Scientific Reports”, 6/07/2018
Immagine di copertina: Albert Park, Australia. Foto di Daniel Watson
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